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Una telefonata con Primo Levi

Data:

07/11/2019


Una telefonata con Primo Levi

Quest’anno ricorre il centenario della nascita dello scrittore e chimico Primo Levi, unanimemente considerato uno degli scrittori e intellettuali più influenti del Novecento e il testimone più lucido della Shoah. L’Istituto Italiano di Cultura lo ricorda con una serie di quattro Lezioni, organizzate in stretta collaborazione con il Centro Primo Levi di Torino. La seconda lezione è affidata al Prof. Stefano Bartezzaghi.

In un'intervista radiofonica, a Primo Levi venne da fare una battuta: «Dev’essere un telefono che funziona, il libro scritto, e penso che la chimica mi abbia insegnato queste due doti: della chiarezza e della concisione». Fra i mestieri altrui che Levi ha coltivato, quello del linguista era certamente uno dei principali: che si trattasse di etimologie popolari, di modi di dire dialettali o yiddish o di paurosi ordini in tedesco o in polacco ogni pagina leviana è una partitura di voci, toni, registri, volumi, a cui di tanto in tanto subentrano, come pause calcolate da un esperto compositore, silenzi perfetti.Nulla di ciò che si può dire linguistico era estraneo all’acuto sguardo del chimico scrittore: etimologie e giochi enigmistici (come palindromi e rebus); gerghi di laboratorio e di Lager; macchine poetiche e reti di computer immaginate da Levi anzitempo.

In questa conferenza, Stefano Bartezzaghi, saggista, giornalista e docente di Semiotica dell'enigma presso la IULM di Milano immagina Primo Levi e David Foster Wallace passeggiare lungo il Po e conversare mentre due grossi cani corrono avanti e indietro, saltano, chiedono di giocare e li distraggono. La metafora della telefonata è stata scelta da Bartezzaghi per testimoniare il rapporto che Levi aveva con il telefono, visto come strumento di comunicazione uguale alla parola scritta. In una conversazione radiofonica, Levi sostenne infatti che «un libro dev'essere come un telefono che funziona: la scrittura serve a comunicare, a trasmettere informazioni o sentimenti, da mente a mente, da luogo a luogo e da tempo a tempo, e chi non viene capito da nessuno non trasmette nulla, grida nel deserto».

Stefano Bartezzaghi, scrittore e semiologo, è tra i più celebri autori di giochi enigmistici in Italia. Si laurea all’Università di Bologna con una tesi in semiotica seguito dal professore Umberto Eco. Dal 1987 cura rubriche su giochi, libri e sul linguaggio per importanti giornali quali La Stampa, La Repubblica, Vanity Fair sue le rubriche “Lessico e Nuvole”, “Lapsus”, “Fuori di Testo” e per il settimanale L’Espresso la rubrica di critica linguistica “Come dire”. Recentemente ha ideato il festival sull’umorismo “Il senso del ridicolo” (a Livorno), di cui è direttore artistico. I suoi studi attuali si rivolgono alla teoria del gioco con le parole, la revisione critica del concetto di creatività, le forme di creatività passiva, la possibilità di una semiotica della creatività e le mitologie del contemporaneo.

Informazioni

Data: Gio 7 Nov 2019

Orario: Alle 19:00

Ingresso : Libero


Luogo:

Istituto Italiano di Cultura

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